Secondo la Suprema Corte (Cassazione Civile, sez. Lavoro, n. 12534/2019) l’utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione dell’imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall’altra e pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio; ne consegue che è legittima, ed inidonea ad integrare un illecito disciplinare, la condotta del lavoratore che abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto.

Come si evince dalla predetta sentenza, è tuttavia necessario che la registrazione sia effettuata “per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto”. Da ciò deriva che in difetto di tale esigenza la registrazione potrebbe ritenersi illegittima e giustificare un procedimento disciplinare. Attenzione inoltre perché la sentenza si riferisce solo  a registrazioni avvenute tra Colleghi (“dipendenti”) mentre il medesimo principio non troverebbe eguale applicazione nel caso di registrazione effettuata dal datore di lavoro, ove risulterebbero applicabili discipline peculiari, incluso lo Statuto dei Lavoratori.