E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 5532 depositata il 5 febbraio 2018.

Nel caso esaminato la Corte di Cassazione ha ritenuto che il nickname utilizzato per pubblicare frasi offensive potrebbe essere stato utilizzato da persona diversa dal titolare del profilo facebook.

E’ quindi parere della Suprema Corte che solo l’IP avrebbe consentito di attribuire con certezza la pubblicazione (della notizia diffamatoria) ad una persona determinata (il titolare del Nick Name) siccome solo attraverso l’indirizzo IP si sarebbe potuto verificare il titolare dell’utenza telefonica associata, mentre in mancanza di detta verifica permane il dubbio che terzi abbiano potuto utilizzare il NickName dell’imputato.

Ritengo, nonostante il principio affermato nella suddetta sentenza, che difficilmente potrà aprirsi sulla scorta di detta (sia pure autorevole) giurisprudenza una via che consentirà di ottenere, per i casi (sempre più numerosi) di diffamazione a mezzo social, una generalizzata assoluzione degli autori di frasi diffamatorie. Invero, da un lato il Giudice  potrebbe ritenere raggiunta la prova dell’identità dell’autore dall’esame complessivo del profilo utilizzato dal soggetto imputato di reato di diffamazione  (si pensi al caso in cui oltre ai contenuti diffamatori siano pubblicati, prima e/o dopo, notizie o foto personali certamente riferibili al Nick Name titolare del profilo); dall’altro lato, è fuori dubbio che attraverso opportune indagini l’autorità può identificare facilmente l’indirizzo IP (ovvero quel codice numerico che consente di identificare univocamente un computer connesso a Internet) e quindi, attraverso particolari accertamenti (di solito svolti dalla Polizia Postale) risalire alla macchina e connessione utilizzata e quindi all’autore del reato.